Ruolo del paziente

A cura di I. Fusaro (IOR-Bologna)

Il soggetto che ha subìto un trauma o un intervento chirurgico al gomito è chiamato in prima persona nel processo di riabilitazione, tanto da poter essere definito “riabilitatore di sé stesso”. Questo è possibile perché, a differenza di altre articolazioni, come la spalla, il gomito viene visto dal paziente mentre lo mobilizza così da poter non solo graduare il movimento e raggiungere la soglia del dolore senza superarla, ma anche attivare i neuroni “mirror”, fondamentali per l’apprendimento motorio.

“GUARDA IL GOMITO MENTRE LO MUOVI”

Condizione essenziale per il successo del trattamento riabilitativo è la conoscenza da parte del paziente di quanto è accaduto al gomito in seguito al trauma o all’intervento chirurgico: è importante infatti avere un’idea di quante ossa compongono il gomito, di come queste lavorano in sinergia per garantire il movimento, di come il trauma ha destabilizzato l’anatomia e di quali modifiche all’anatomia ed alla stabilità ha riportato un eventuale trattamento chirurgico. Tutto questo deve essere trasmesso dalle figure professionali che sono coinvolte nella diagnosi, nel trattamento chirurgico e nel processo riabilitativo. Con la presa di coscienza di cosa è stato danneggiato e del grado di riparazione raggiunta diventa possibile la comprensione di come deve essere condotta la rieducazione e di quello che è in questo processo il ruolo del paziente.

E’ importante innanzitutto che il paziente controlli la reazione infiammatoria dei tessuti traumatizzati o da poco operati: dolore, arrossamento, gonfiore, calore sono i segni di una infiammazione acuta che inevitabilmente segue il trauma e che sta a significare il tentativo di guarigione da parte dell’organismo. L’infiammazione è quindi un evento del tutto normale ed il dolore ad essa legato rappresenta per il soggetto una sentinella da considerare nella sua evoluzione.

L’osservazione ed il rispetto dello stato flogistico non deve però prevalere sull’avvio della riabilitazione. Sono sempre più numerosi infatti i dati scientifici che dimostrano la maggiore efficacia della mobilizzazione precoce rispetto a quella differita. E’ bene mobilizzare presto il gomito per prevenire la formazione di aderenze (tralci fibrotici connettivali che si sviluppano per il perdurare dell’infiammazione e finiscono per imbrigliare i tessuti), contrastare l’effetto dell’immobilizzazione, facilitare il drenaggio dei liquidi linfatici e venosi, modulare il dolore e recuperare prima e meglio l’articolarità.

In presenza di dolore e gonfiore da flogosi è però difficile condurre una mobilizzazione precoce. Per questo è auspicabile che il soggetto attui strategie anti-infiammatorie al fine di contenere questo processo che, benché fisiologico, finirebbe per ritardare i tempi della riabilitazione. A questo proposito risultano efficaci semplici espedienti a portata di tutti come l’applicazione locale di ghiaccio, il mantenimento dell’arto in posizione antideclive, una blanda compressione con bendaggi o garze, il riposo dell’articolazione quando se ne percepisce l’eccessivo affaticamento (fig.1).

“MOBILIZZAZIONE PRECOCE”

A tutto questo si è aggiunta in tempi recenti la mobilizzazione passiva continua motorizzata (CPM), che ha apportato notevoli vantaggi. L’articolazione è una struttura anatomica “pensata” per generare movimento: più si genera movimento, più essa viene “nutrita”. Per questo la mobilizzazione è la condizione essenziale per riabilitare un’articolazione traumatizzata quando è stabile. Mobilizzare fisiologicamente (attivamente) per periodi di tempo relativamente lunghi significherebbe però portare ad un rapido affaticamento le fibre muscolari già provate dal perdurare della situazione flogistica. Per questo la CPM rappresenta una valida alternativa alla attivazione articolare, con la possibilità di “risvegliare” l’articolazione nell’arco di movimento fisiologico più ampio possibile. L’applicazione della CPM fornisce anche notevoli vantaggi anti-infiammatori: l’azione di “spremitura” sui tessuti molli riduce l’edema e drena la raccolta ematica (fig.2).

L’uso della CPM è indicato nella maggior parte dei casi a partire dalla seconda giornata post-operatoria per archi di movimento sicuri e progressivamente più ampi. E’ invece controindicata in caso di danno dei legamenti del gomito e, più in generale, di instabilità ossea e/o legamentosa: in questi casi infatti è impossibile mantenere un perfetto allineamento del gomito con l’asse di rotazione della macchina, ed è inevitabile lo stress di legamenti e stabilizzatori ossei.

La mobilizzazione oltre ad essere precoce, deve essere protetta: un gomito traumatizzato o da poco operato è più facilmente vulnerabile di un gomito normale. Il paziente deve conoscere le posizioni da assumere quando mobilizza il gomito in flesso/estensione. Inoltre se il paziente presenta una instabilità laterale rischia uno stress eccessivo durante l’abduzione della spalla, specialmente se intraruotata, mentre in caso di instabilità mediale non deve portare pesi a gomito esteso, soprattutto se pronato. La tutorizzazione statica (applicazione di tutori) by-passa queste evenienze proteggendo il gomito (fig.3).

Inizialmente la mobilizzazione deve essere attiva-assistita: il paziente muove il gomito in flessione, estensione e prono/supinazione utilizzando l’arto contro laterale come guida e motore (fig.4).

In questo modo a livello dell’articolazione traumatizzata si genera solo una ridotta attivazione della muscolatura e questo previene da eventuali sollecitazioni dannose; inoltre questo tipo di mobilizzazione avviene nel rispetto di tutte le sensazioni dolorose e percettive.

“MOBILIZZAZIONE AUTOASSISTITA”

Con la progressiva guarigione dei processi riparativi inizia l’intervento del fisioterapista, di solito a partire dalla 3° alla 4° settimana post-operatoria, finalizzato al recupero dell’articolarità e della forza muscolare attraverso la mobilizzazione attiva e contrastata secondo traiettorie e posizioni non pericolose (fig.5).

E’ di fondamentale importanza che il paziente ripeta a domicilio quanto appreso, rispettando tutte le indicazioni sulle modalità degli esercizi: traiettorie, limiti articolari, posizioni della spalla, posizione distesa/seduta, numero di ripetizioni per serie. Una volta raggiunta una buona articolarità e una sufficiente forza muscolare il paziente può riprendere l’attività fisica per migliorare la propriocezione, la coordinazione e la funzionalità del gomito.