Frattura dell‘estremo distale dell’omero

Le fratture dell’estremità inferiore dell’omero (paletta omerale) rappresentano circa il 30% delle fratture del gomito.
Possono essere causate da un trauma diretto sul gomito oppure da una caduta sulla mano atteggiata a difesa del corpo.
La classificazione più utilizzata divide le fratture in tre gruppi principali (Fig 1):

1) extra-articolari extra-capsulari (ossia fratture che coinvolgono l’osso al di fuori della capsula articolare): all’interno di questo gruppo troviamo le fratture dell’epicondilo, dell’epitroclea (Fig. 2) e le fratture meta-diafisarie.

2) Extra-articolari intra-capsulari (ossia fratture che coinvolgono l’osso all’interno della capsula articolare ma non interessano le superfici articolari): sono le fratture cosiddette “sovracondiloidee” (Fig. 3).

3) Intra-articolari intra-capsulari (ossia le fratture che coinvolgono le superfici articolari): fanno parte di  quest’ultimo gruppo le fratture della colonna mediale, laterale (Fig. 4), di entrambe le colonne (Fig. 5), del capitulum humeri e della troclea (Fig. 6).

Il trattamento si diversifica per tipo di frattura:

Le fratture dell’epicondilo e dell’epitroclea composte (ossia senza spostamento dei frammenti ossei) vengono trattate in gesso per un periodo non superiore a 2-3 settimane (per evitare il rischio di rigidità). Le fratture scomposte, invece, vengono sempre trattate chirurgicamente. Il trattamento più indicato è l’osteosintesi con una o più viti metalliche (Fig. 7), seguito da una rapida riabilitazione che inizia dopo 2 giorni dall’intervento.

Il trattamento delle fratture del secondo gruppo, ossia le fratture “sovracondiloidee” è sempre chirurgico. L’obiettivo del trattamento è la “riduzione anatomica” della frattura (ricomporre i frammenti ossei) e la “sintesi” (fissazione) stabile con placche e viti (Fig. 8), al fine di consentire una rapida mobilizzazione del gomito. Raramente è indicata l’osteosintesi percutanea, ovvero la stabilizzazione della frattura con fili metallici introdotti attraverso la pelle senza esporre il focolaio di frattura. Ciò perché i fili metallici non consentono di ottenere una buona solidità della ricostruzione. Infatti questo tipo di intervento deve essere sempre seguita da un periodo di immobilizzazione in gesso (1 mese circa) che predispone alla rigidità articolare. Questo tipo di trattamento a nostro avviso deve essere riservato solo a bambini e pazienti molto anziani in cui è controindicata l’osteosintesi con placche e viti per le cattive condizioni generali.

Anche le fratture del terzo gruppo (fratture mono e bi colonnari) vengono trattate chirurgicamente. La fissazione viene effettuata con una o due placche metalliche e viti. La ricostruzione di entrambe le colonne è fondamentale per garantire la stabilità del gomito (Fig. 9).

Nei pazienti anziani (con età maggiore di 60 anni) fortemente osteoporotici, con basse richieste funzionali, con fratture molto complessa può essere indicata la protesi totale di gomito (Fig. 10).

Il trattamento delle fratture del capitulum humeri e della troclea, ossia  di quella porzione dell’omero rivestita da cartilagine e che costituisce l’articolazione, è non chirurgico solo nei casi in cui la frattura è incompleta e senza spostamento dei frammenti; in tutti gli altri casi il trattamento chirurgico con viti metalliche è sempre indicato (Fig 11).

Il trattamento delle fratture del capitulum humeri e della troclea, ossia  di quella porzione dell’omero rivestita da cartilagine e che costituisce l’articolazione, è non chirurgico solo nei casi in cui la frattura è incompleta e senza spostamento dei frammenti; in tutti gli altri casi il trattamento chirurgico con viti metalliche è sempre indicato (Fig 11).

Questo protegge la ricostruzione consentendo tuttavia la mobilizzazione immediata del gomito, senza incorrere nel pericolo di uno spostamento dei frammenti. Anche in queste fratture può essere indicata la protesi parziale o totale di gomito.

Le complicanze delle fratture dell’estremità inferiore dell’omero sono numerose, le più frequenti sono:

– la pseudoartrosi, ossia la mancata guarigione della frattura (Fig. 13)

– le infezioni

– la rigidità articolare, ossia la riduzione dei movimenti del gomito: questa è dovuta frequentemente allo sviluppo di retrazione della capsula, alla permanenza di frammenti articolari in una posizione non corretta, ed allo sviluppo di ossificazioni eterotopiche (ossia formazione di osso nel contesto di muscoli, legamenti e tendini)

– l’artrosi post-traumatica, ossia le degenerazione della cartilagine articolare. Questa complicanza si sviluppa tardivamente ed è associata a dolore e limitazione del movimento.

– la neuropatia del nervo ulnare, ossia l’irritazione del nervo che si manifesta con addormentamento e parestesie (formicolii) a livello dell’anulare e del mignolo della mano.

Spesso l’insorgenza di una o più complicanze rendono necessario eseguire ulteriori interventi chirurgici al fine di migliorare la funzionalità del gomito.

Questa presentazione è diretta ad utenti comuni. Per informazioni più dettagliate e dirette a personale medico o paramedico si consiglia di scaricare il file “Fratture estremo distale omero.pdf” nella sezione aggiornamento.